mercoledì 19 novembre 2008

Horror (e)vacui

Mi sento sempre più fuori dal mondo. A furia di tagliare tutte le cose insopportabili, sto finendo per privarmi anche di quelle piacevoli.
Se non accetti la finzione, rimani senza ruolo. Sempre più spettatore, con sempre meno voglia di applaudire o fischiare. Sempre più isola. Comincia a sembrarti sensato anche lanciare messaggi in bottiglia nel web, nella vana speranza che qualche navigante li trovi, e li legga. Proprio quando i blog si sono ormai moltiplicati a dismisura, e dubiti che qualcuno li segua più, a meno che non si tratti di quelli di “naufraghi famosi”. Comincia a sembrarti sensato fare qualsiasi cosa, cercando di sfuggire al nichilismo, contraddittorio come tutti i nichilismi, in cui il tuo pessimismo, che è in realtà ottimismo ben informato, ha finito per farti sprofondare.
Girare, quando posso; scrivere, per vedere tutto fuori da me, quando ne sento il bisogno o non mi scoccia troppo. E scattare, per risparmiare la parcella dello psicologo/psicanalista di turno, per concentrami su qualcosa di specifico e non pensare, per ignorare che scivoliamo con precisione e costanza davvero ammirevoli verso il nulla eterno.
Per evitare situazioni alla Io e Annie.

La mamma porta l’intelligentissimo Alvy (Woody Allen da piccolo), con i suoi enormi occhiali, dal medico:

Madre: È andato in depressione, così, all’improvviso.
Medico: Perché sei depresso, Alvy?
Alvy: L’universo si espande, e un giorno o l’altro si romperà!
Madre: Ma che ti importa dell’universo? Tu sei a Brooklyn, e Brooklyn mica si espande!

Quindi, in definitiva, sì, ho fatto un altro blog in cui un trentenne pseudo-solitario esorcizza come può il limbo post-adolescenziale in cui si trova la sua incompiuta generazione. L’ennesimo.
L’Universo aborre il vuoto. Deve per forza riempirlo. Se necessario, anche di merda.
Ok, torno al mio “viaggio”.