lunedì 29 aprile 2013

Che cazzo reading (due storie spaghetti-photo)


 



Fotografo Vinicius Drapper, fotografo.
Brizzolati i capelli di Vinicius Drapper, brizzolati.
Decine di pellicole sviluppate nella camera oscura, le guarda nostalgico quando archivia i raw, raw digitali che gli sembrano senz’anima, se glielo chiedi te lo racconterà.
Attento Vinicius Drapper, attento. Tenendo la fotocamera tra le mani ti sussurra: click.
Terrore di lui, nelle ombre di tutta la città.

Vinicius Drapper lavora al limite della luce, cercando di fermare un’ombra rapida e sgusciante. L’ombra appartiene a Suo EccellEnzo, un gringo dal passato oscuro, venuto dal Sud. Ha la fotocamera a tracolla e lo zaino in spalla. Non porta il tappo. Qualcosa come un terrore negli occhi, quando vede luccicare l’obiettivo di Vinicius.
Vinicius gli dice Scatta EccellEnzo, ma lui si blocca pensando al 4/3 Olympus. Su immortalami, dice Vinicius. EccellEnzo fa una smorfia, e scivola via.
Proximo ride, fuori dalla luce, seduto su uno scalino. Pensa: EccellEnzo bastardo, la vuoi finire? Fatti scattare quella cazzo di foto.
Luminoso l’obiettivo di Vinicius Drapper, luminoso.
Cerca l’ombra, lui.
EccellEnzo gliela allontana.
Fatti immortalare l’ombra, ragazzo. La cerca ancora.
‘Affanculo dice EccellEnzo, e gliela nasconde.
Merda dice Vinicius. Merda. Lascia perdere l’ombra per terra, e vede la silhouette di EccellEnzo, disegnata dalla luce, a scatti, come in una specie di agonia.
Mira alla testa, mira.
Fatti immortalare, ragazzo.

Se vuoi capire la loro storia, diceva Vu-Mails, devi sapere quanti scatti al secondo faceva una fotocamera, a quei tempi.
Sei.
Lui diceva che era un numero perfetto. Pensaci. E falla entrare nelle orecchie, quella raffica. Sei scatti, uno due tre quattro cinque sei. Perfetto. Lo senti il silenzio, dopo? Quello sì è silenzio. Uno due tre quattro. Cinque sei. Silenzio. Ogni sei scatti silenzio.
Quanti scatti al secondo c’erano, in una fotocamera?
Sei.
Allora ti raccontava quella storia.

Vinicius scivola verso l’ombra di EccellEnzo, con la fotocamera in mano e l’obiettivo bene in vista. Lui lo guarda, qualcosa come un terrore negli occhi.
Sente il rumore secco di uno scatto. Poi sente il secondo scatto, e, uno dopo l’altro, in rapida e minacciosa successione, il terzo e il quarto e il quinto. Rimane immobile. Aspetta. Ha uno strano ronzio in testa e tutto sembra lontano. Sente qualcuno che lo spintona, e gente che corre attorno a lui. Aspetta ma non sente nulla.
Buffer.
Allora si muove, afferra la fotocamera a tracolla, imposta la priorità di diaframma e preme a metà il pulsante di scatto per mettere a fuoco.
Adesso riparati, lui dice.
Adesso vedi, ragazzo.
Ma non scatta. Sente il sesto click, allora. Poi più niente, per sempre.
Silenzio. Che silenzio.


***


Vinicius “Buk” Drapper. Vecchio fotografo.
Buk.
Con strade sulla faccia disegnate da infinite inquadrature, diceva Vu-Mails. Gli occhi deglutiti dagli occhiali, e mani di ulivo, le mani veloci, armi da street. Stanche. Il pettine, al mattino, bagnato d’acqua, a cercare di rigare i capelli ricci all’indietro, brizzolati, ormai.
Polmoni di tabacco nella voce che piano dice: Coff, coff. Coff.
Niente di peggio che non scattare per un fotografo.
Guardarsi intorno, ogni faccia mai vista può essere quella dell’idiota di turno arrivato da lontano per diventare quello che ha immortalato Vinicius “Buk” Drapper.
Se vuoi sapere quando si diventa un mito, allora ascolta: è quando ti ritrovi a scattare sempre senza inquadrare. Finché inquadri dal mirino sei solo un fotografo. La gloria è una scia di scatti, che incrocia la linea della luce, sul selciato. Sta’ fermo, coglione, disse senza nemmeno inquadrare. Il ragazzetto aveva un’ombra nera, in tasca una compattina e la promessa di una qualche vendetta. Troppo tardi coglione.
Con queste strade sulla faccia, vecchiaia vigliacca, ad avere crampi la notte, il male bastardo sotto il dito indice, come un continuo rito voodoo, non viene mai domenica, e quando viene è un strada di paese vuota, da attraversare. Come ho fatto a ridurmi così?, io.
Come scattava Buk. Teneva le fotocamere al contrario con l’impugnatura che usciva in avanti. Estraeva a braccia incrociate, la reflex a tracolla sulla spalla destra nella mano sinistra, e viceversa. Così, quando ti veniva incontro, le dita a sfiorare le impugnature, e le mani incrociate, sembrava una specie di pazzo, come un folle che stesse andando al manicomio con la camicia di forza, e le braccia legate davanti. Un istante dopo era un uccello rapace che apriva le ali, lo scientifico puntamento degli obiettivi verso le ombre, e la geometrica composizione di due inquadrature. Buk.
Cos’è allora questo comparire nelle inquadrature di altri, costretto a implorare spazio nella memoria, io abituato alla pellicola, costretto a contare le ore che mancano al calare del sole io che conoscevo gli istanti, ed era l’unico tempo che esisteva per me. Lo scarto di una sagoma, le nocche sbiancate attorno a uno zoom, le movenze sghembe di una silhouette, lo sbucare improvviso di qualcosa dall’oscurità. Ci ho vissuto eternità dove gli altri vedevano attimi. Per loro era come flash ciò che per me era una mappa, una stella dove io vedevo cieli. Io pensavo dentro pieghe del tempo che per loro erano già un ricordo. Non c’è altro modo, mi avevano insegnato, di fermare un’ombra prima che esca dal cono di luce.
Cos’è allora questo comparire nelle inquadrature di altri, io abituato a scattare, costretto a sperare nella messa a fuoco automatica, mendicando un istogramma che non bruci i bianchi, con la mia Olympus e la mia Contax, sempre quelle, in tasca vecchie pellicole che le puttane digitali non vogliono, le prenderà un lomografo, quando verrà, che sia veloce e pronto il tuo scatto, ragazzo, carica la tua lomo e svelto il tuo dito, io voglio scattare oggi, fino al tramonto di questo giorno, io scatterò.
Dicevano che Buk si portasse sempre dietro un codice. Vu-Mails. Ci aveva studiato tutte le ombre, una dopo l’altra, in ordine alfabetico. Era così vecchio che aveva già fatto il giro e adesso se ne stava dalle parti della G, per la seconda volta. Nessuno sapeva perché mai facesse tutto quello. Però una volta, su Photorevolt, dicono che commentò la foto di una donna, era bellissima, alta, capelli biondi, c’era da chiedersi come fosse finita lì. Lui commentò la sua foto e le disse: Coppetta.
Vinicius “Buk” Drapper. Sarà bannato da forum e community in un modo bellissimo, diceva Vu-Mails. Gliel’ho promesso: sarà bannato da forum e community in un modo bellissimo.

https://www.youtube.com/watch?v=DJNGCpGp00o