lunedì 15 febbraio 2010

Avatar: E=3D²


Vedere Avatar equivale pressappoco a prendere una sbornia. L’eccitazione della sera prima, accompagnata da occhi pesanti e sensazione di vuoto alla testa, si trasforma in un terribile mal di testa il mattino dopo.

Alla fine sto benedetto 3D, per quanto eccitante anche per l’effetto novità (penso all’Arrivo del treno dei Fratelli Lumière, a agli spettatori che si alzano, come vuole la leggenda), non è altro che un passo tecnico in avanti come lo è stato il passaggio dal muto al sonoro e dal bianco e nero al colore. Sempre che trovino il modo di rendere il tutto meno faticoso, ovviamente.

Ci stanno lavorando, ne sono certo. Così come sono certo che la cosa non è semplice, o l’avrebbero già fatta, visti gli interessi in gioco. Il 3D è l’unico modo, attualmente, per cercare di riportare la gente al cinema, facendole pagare allegramente un biglietto, oltretutto. Fatto che, in tempi di full hd casalingo, home teather, e download selvaggio, non è per niente scontato. Soprattutto pagare.
Un tentativo affine all’invenzione del cinemascope, del panavision, insomma dei formati panoramici, per tentare di arginare la concorrenza della televisione, offrendo qualcosa di non riproducibile al di fuori del cinema.
Il bombardamento pubblicitario massiccio e continuo ne è la testimonianza. Così come il fatto che le sale 3D comincino ad essere più diffuse, anche in luoghi dove non pareva così scontato ci fossero.

Curioso come si stia cercando di farlo con una storia di impianto estremamente classico, seppure ibridata con soluzioni narrative e un immaginario visivo che ha molti debiti nei confronti del mondo dei videogiochi e della loro interattività.
Ci si arrampica per montagne volanti, e quando sembra di non poter più andare avanti, si aspetta che il movimento di “zolle” vicine finisca per mettere a portata di salto la liana giusta per passare al livello successivo; e si domina il “mostro” dalle sembianze di uno pterodattilo con una serie di tecniche estremamente familiari per chi ha una pur minima manualità con joystick e affini.

In fondo Avatar parla di noi spettatori, desiderosi di proiettarci dentro lo schermo immedesimandoci totalmente nel nostro beniamino di turno. Cosa che finora abbiamo tranquillamente fatto senza l’ausilio di bioporte, di code “trombatutto” e di capsule di controllo varie. E che prima facevamo senza il colore, senza il sonoro, e prima ancora senza immagini in movimento. Ma che ora devono convincerci a fare indossando un paio di strani occhialini.

Per sottolineare l’importanza dell’esperienza, l’”Io ti vedo” seppellisce definitivamente l’”Io ti amo”, così come a noi non resta che sprofondare tra le braccia accoglienti della Nostra Signora Madre Virtuale, per rinascere in un nuovo corpo e “vedere” con occhi nuovi.
Il mondo di Pandora è stato aperto e i nostri avatar stanno uscendo dallo schermo. O siamo noi che stiamo definitivamente entrando dentro il nuovo acquario.
Perlomeno fino ai titoli di coda.

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