martedì 16 febbraio 2010

Tra-ghetti

Faccio per scendere e lo vedo dietro il vetro. Apre la porta di comunicazione tra i due vagoni, intercetto per un attimo il suo sguardo rapido e sfuggente, quindi passa oltre sfiorandomi con lo zaino viola che trascina su una spalla.
Inizia ad aprire le porte dei vari scompartimenti, guardando nervosamente all’interno. Intuisco immediatamente perché sia lì, ma mi sforzo di non crederci. Magari sta cercando dei compagni di viaggio, chi lo sa.
Arriva all’ultimo scompartimento, e finalmente entra e si siede. Io rimango a guardarlo, proprio alla fine del corridoio, con un occhio a lui e uno alla porta. E, attraverso di essa, alle scale che portano sul ponte del traghetto.
Comincia ad entrare ed uscire dal suo scompartimento, ma io ormai non mi muovo, anche se ho un bisogno disperato di un caffè, la notte non ho dormito, sono in giro da prima delle 5 e penso alle altre dieci ore di treno che mi aspettano.
Ho un bisogno disperato di un caffè, non riesco a tenere gli occhi aperti, ma il vagone è semivuoto e non scendo, cazzo non scendo. Entro nello scompartimento e chiudo le tende che danno sul corridoio. Lo sento passare un paio di volte fuori, finché non rientra nel suo scompartimento. Sembra rinunciare. Silenzio.

Ed è lì che commetto l’errore, di presunzione. Quanto ci vorrà per arrivare su, prendere un caffè e scendere, due minuti? E lui dove può andare, se siamo in piena navigazione? E, poi, potrà mai capitare a me?
Il desiderio è troppo forte, prendo con me lo zaino con le cose più importanti e lascio il resto. Esco lentamente, cercando di non far rumore e chiudendo le tende del mio scompartimento. Sperando che il mio bluff regga qualche minuto, soltanto qualche minuto.

Salgo velocemente le scale ripide e strettissime che portano al ponte, una rampa, due, tre e sono fuori. Mi dirigo controvento all’ingresso del bar.
Che fortuna, è vuoto, penso. Ordino il caffè, e già che ci sono un cornetto confezionato, non si sa mai, nel pomeriggio potrebbe sempre venirmi fame, nonostante il bel panino al salame e formaggio che mi aspetta giù.

Prendo il caffè e gli occhi mi si sgranano come due popcorn, pop pop, di nuovo aperti. Ci voleva proprio, penso. Pago e sono di nuovo fuori, perfino a favore di vento. Mi ributto sulle scale, che mi sembrano ancora più strette e ripide della salita, risalgo sul vagone, e rientro nel mio scompartimento.
Un rapido sguardo, bene, c’è tutto. Sorrido soddisfatto, non riesco a trattenermi, ti ho fregato, coglione! Prendo il sacchetto che ho sul sedile di fronte per conservarci il cornetto, sposto le bottigliette d’acqua, il plumcake che mi ha dato Lisa… cazzo, e il panino dove l’ho messo? Era in un sacchettino a parte, ma sempre qui dentro, lo ricordo bene. Guardo e riguardo, sposto e risposto, niente, non c’è. Il panino preparato amorevolmente dalla mia mammina non c’è.

Trrr, trrr… trrr trrr…
- Pronto?
- Li’, il panino dove l’hai messo?
- Nel sacchetto con l’acqua, dentro un altro sacchettino… il profumo del salame si sentiva troppo. Risata. Poi: Perché?
- Sei sicura di averlo messo lì?
- Sì, ti dico di sì. C’era anche la mela.
- Ah, c’era pure la mela.
- Sì.
Silenzio.
- Si sono fregati il panino.
- Cosa?
Risata.
- Si sono fregati il panino.
Risata più forte.
Io rido molto meno. Ho fame. Una fame che ha avuto un’improvvisa impennata e mi ha fatto gorgogliare lo stomaco ora che so che il panino lo mangerà qualcun altro.
Esco dallo scompartimento e vado verso quello in fondo, con passo deciso.

La porta è aperta, ma la tendina è chiusa. Tutto al buio, ma lui è lì dentro, e si intravede bene. Scosto a malapena la tendina, sento forte l’odore del salame, lui non si volta, guarda dritto davanti a sé.
Pausa.
Buon appetito, scandisco mentalmente, e lo penso così forte che è come se lo avessi detto e se lui avesse sentito.
Torno indietro, perché mi viene in mente che non ho controllato il borsone. Mentre lui è ancora lì devo farlo immediatamente. Lo tiro giù in fretta, anche se non sembra minimamente toccato. Apro freneticamente le cerniere, sbaglio tasca e mi sembra che manchi qualcosa, ma in realtà c’è tutto. Perlomeno così mi sembra a caldo, può sempre sfuggirti qualcosa di cui poi noterai la mancanza soltanto quando ti servirà.
Motivo per cui ricontrollo tutto, e cerco di farlo il più velocemente e meticolosamente possibile. Niente, non manca niente. Eppure ho addosso quella strana sensazione di violazione, anche se alla fine si è preso solo panino e mela, per fame; non può nemmeno considerarsi furto, se avessi fame e non avessi soldi farei lo stesso, probabilmente.

Mi stravacco sul sedile, il sonno è definitivamente passato, e gli occhi mi vanno sul sedile di fronte. Accanto al sacchetto c’è il libro che stavo leggendo e, chissà perché, avevo lasciato in bella vista. Me lo ricordo bene, prima di scendere l’ho preso e l’ho messo lì bene in ordine accanto al sacchetto.
Il libro è Autoritratto di un reporter di Kapuściński. In copertina fa la sua bella apparizione la foto di un gruppo di ragazzi neri sorridenti. Più lo guardo più mi convinco che è quel libro ad avermi graziato, magari l’amico di colore affamato voleva fregarsi tutto, e invece si è preso solo panino e mela perché si è commosso di fronte a quella foto, o qualcosa del genere, o che so io.
O magari no, ha preso solo quello perché non è un ladro, e basta, cerca solo come rimediare qualcosa da mangiare e nella sua vita ha collezionato troppi rifiuti per chiedere. Tra l’altro, così facendo, mi ha pure privato del piacere di lavarmi un po’ la coscienza a basso costo e di sentirmi, per un momento, buono, regalandoglielo, quel maledetto panino.
Ma non lo saprò mai. Quando mi alzo per tornare verso di lui, scopro che non è più sul vagone. Ha approfittato del tempo che ho perso in inutili riflessioni per dileguarsi.

Torno al mio posto e, preventivamente, mangio il plumcake e bevo. A meno che non mangino vomito, questo non me lo fregano più, penso.
Mentre siamo fermi a Villa sento uno scampanellio in corridoio. Compro a caro prezzo un infimo panino (in realtà è un cornetto dolce) con prosciutto e formaggio e un succo di frutta, li ripongo per un attimo dentro al sacchetto, ma ricordando la teoria appena elaborata, decido di mangiarli subito.

Mentre addento quel cornetto freddo e dolciastro, noto un cartello pubblicitario fuori dal finestrino, lo collego al libro rimasto sul sedile di fronte – la fugace apparizione dell’“autorità” è puro culo –, afferro la macchina e decido di sintetizzare l’esperienza così:


Nessun commento: