sabato 6 marzo 2010

SuperMaxiE(r)ro(r)e

Lo guardavo sempre Ralph SuperMaxiEroe.
Lo guardavo sempre anche se mi faceva incazzare. Come altri telefilm e cartoni, del resto.
E sempre erano come qualcosa di inevitabile. Il telefilm o il cartone andava guardato, anche se non piaceva, quasi fosse un rituale, un succedaneo di una sorta di messa, un catechismo pagano preparatorio a un credo consumistico ricco di facili promesse. Non tanto a buon mercato, a dire il vero.
Davano quel dato telefilm, a quella data ora. E quel dato telefilm, a quella data ora, andava guardato. Se ci fosse qualcosa di precocemente masochistico, in questo, o un’altrettanto precoce tendenza a vivere in un altrove qualsiasi, purché non fosse la realtà, non lo so.

In tutta onestà, Ralph non era esattamente un serial che non apprezzavo. Tutt’altro. Intanto non vedevo l'ora di leggere "Frank Lupo" sui titoli di testa, perché ipotizzavo vagamente fosse un mio compaesano. Ma soprattutto mi entusiasmava talmente tanto che il protagonista potesse volare, che mi faceva incazzare proprio il fatto che non sapesse volare bene.
Sarà che già allora mi piacevano le cose che funzionano. La storia del manuale perso o intraducibile, ora non ricordo bene, non mi convinceva troppo. Cazzo, fai un telefilm, organizzi tutto, lo giri, e poi non mi fai volare l’eroe? Il Supermaxieroe? The Greatest American Hero? A vederla oggi, la sentivo come una presa per il culo intollerabile, credo. Non ritenevo ammissibile che nel mio mondo alternativo, nel mio altrove, le cose non andassero per il verso giusto. Ci bastavo già io, nel mondo reale, a procurarmi escoriazioni varie lanciandomi dai mobili della cucina col vestito di Superman o dell’Uomo Ragno (negli anni 80 Spiderman non lo conoscevamo) che indossavo spesso, tutto l’anno, senza bisogno di aspettare Carnevale.
Cazzo Ralph, vola bene. Fregatene di quello stramaledittissimo manuale e vola! Impara ad atterrare. Non cadere a terra in modo vergognosamente simile a come cado a terra io, col mantello di Superman che mi si avvolge e attorciglia sulla faccia. Solo che io ho 4 o 5 anni. Non tu, Ralph, non lì. Non in quell’altrove contenuto in quella scatoletta, in quell’acquario con dentro immagini che si muovono, al posto dei pesci.
A dir la verità, ed esagerazioni ruffiane a parte, atterravo spesso sui due piedi.  Cadevo in piedi, sì, ma non potevo certo dire di aver davvero volato. Ralph volava, in maniera altalenante, ovvio, ma volava. Io atterravo. C’era qualcosa che non mi quadrava. Non riuscivo a vedere un mondo dove fosse tutto, simultaneamente, possibile. Pedalavo a vuoto, insomma. In folle.
















Più o meno la stessa frustrazione che avrei provato qualche anno dopo in alcuni sogni ricorrenti, nei quali non riuscivo a fare quello che volevo, pur essendo del tutto consapevole di essere in un sogno, e anzi desideroso che tutto si svolgesse esattamente come desideravo proprio per quello.
Ne ricordo uno in particolare, scendevo con una bicicletta da una discesa molto ripida che conoscevo bene, e dovevo svoltare a U per imboccare la strada principale in senso opposto. Nelle mie intenzioni dovevo farlo a tutta velocità, senza frenare; tanto ero in un sogno.
Ma in realtà finivo tutte le volte per entrare in una specie di loop rallentato e inesorabile in cui, vedendomi dall’esterno, mi riportavo in cima alla discesa e riprovavo a fare quel movimento. Senza mai riuscirci. Minchia, com’è che non ce la faccio, è il mio sogno! Forse proprio perché il sogno aveva le sue regole, e io non ne ero il signore assoluto. Dovevo accettarle e adattarmi.

La vita ha poi avuto modo di mostrarmi che le cose spesso, semplicemente, e non sempre per colpa nostra, non funzionano. E di capire perché quel manuale non ci fosse, e quanto geniale e necessario fosse quell'escamotage.
Lo capisco ora che non voglio più trovare soltanto un altrove, dentro gli acquari.
Lo capisco ora che dentro agli acquari voglio vedere chi siamo.
Lo capisco ora che non mi vesto più da Superman o da Uomo Ragno.
Ora che indosso un'armatura. Ma questa è un’altra storia, che spero di raccontare presto. In altri modi.
Per il momento, Believe it or not I’m walking on air...


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